Biglietto da visita: antica usanza o strumento di business?
Chi mi conosce sa che mi piacciono le storie e la storia. Sapere infatti da dove nascono concetti, usanze, modi di dire mi affascina e trovo importante essere a conoscenza di ciò che c’è stato prima di noi per capire un diverso punto di vista e la sua evoluzione ad oggi.
Anche nel pensare se era il caso o meno di stampare dei miei biglietti da visita ho approfittato per studiare un po’ di storia e per riflettere su una domanda che in molti si sono fatti: ha ancora senso stampare biglietti da visita?
Mini storia del Biglietto da visita
Partiamo, come sempre, dall’Antica Grecia, la culla della cultura. Un esempio di biglietto da visita risale all’usanza di Pericle nell’allegare ai regali d’amore per la sua amante e compagna Aspasia di Mileto, un biglietto con il proprio nome che preannunciava il suo arrivo. Una sorta di oggetto parlante se vogliamo, che anticipa quella che sarebbe diventata un’abitudine comune nei secoli avvenire.
Facendo un salto temporale fino al XVII scopriamo che le carte da gioco avevano una duplice funzione. Sul retro infatti si usava scrivere nome, cognome, mestiere dell’ospite fino al secolo successivo quando questo concetto iniziò a maturare. Vediamo infatti l’ampio uso del biglietto da visita in Francia dove, ad ogni evento mondano, l’invitato doveva porgere il proprio biglietto per farsi annunciare.
Sarà però solo con la rivoluzione industriale che nascerà il biglietto da visita vero e proprio. Allontanandosi dalla sfera privata, il biglietto da visita diventerà uno strumento di business a tutti gli effetti vista la crescita esponenziale di attività e negozi.
E oggi?
In un mondo fortemente digitalizzato c’è posto per un pezzetto di carta da 85mm x 55mm? La mia risposta è sì.
Tutto quello che può esprimere la propria personalità merita un posto nel nostro progetto lavorativo. Nel mio potrei scrivere “Dottoressa Azzurra Bergamo” e dare un tono formale e distaccato alla mia immagine, ma non mi rappresenterebbe. Potrei stampare solo un qrcode e avvolgere in un allure di mistero la mia persona, ma sarebbe un biglietto che non comunica nulla. E, come scrisse Primo Levi nell’articolo Dello Scrivere Oscuro:
la scrittura serve a comunicare, a trasmettere informazioni o sentimenti da mente a mente, da luogo a luogo e da tempo a tempo, e chi non viene capito da nessuno non trasmette nulla, grida nel deserto.
Perché anche un biglietto da visita deve comunicare e non solo il proprio nome e recapito. Io sto pensando al mio.