Corona vs Coronavirus: inutile piangere sulla birra versata

Il nome vuol dire tutto per un brand. E una cattiva scelta in merito, o anche un infausto scherzo del destino, possono compromettere un'intera azienda. Era accaduto negli anni'80 con il fuoristrada Mitsubishi Pajero, dove Pajero, nei paesi iberici, indica colloquialmente un masturbatore cronico.

Succede oggi con la birra Corona, storico colosso messicano che ha sempre basato la sua immagine su leggerezza, spiagge assolate, party amichevoli e sull'immancabile fettina di lime infilata a forza nel collo della bottiglia. Nelle ultime settimane, a causa dell’assonanza con il virus che ci sta flagellando, il Coronavirus appunto, la birra messicana ha subito un drastico calo di vendite. Si parla addirittura di perdite intorno ai 285 milioni di dollari.

Corona e Coronavirus: da dove è nato tutto ciò?

Quella che era iniziato come una corsa al meme facile, una goliardica presa in giro tipica della rete è presto sfuggita di mano, come sempre accade sul web. La simpatia è diventata isteria. Lo scherzo, una fake news (difficile da debellare quanto un virus). Il marchio Corona è insomma diventato portatore sano di pregiudizio.

In un articolo del New York Post, vengono riportati i dati di questo terremoto di marketing: il 38% dei consumatori di birra americani non acquisterebbe una Corona durante l'epidemia. Il 16% si vergognerebbe di ordinarla in pubblico. il 14%, composto da analfabeti funzionali (i veri untori del nostro tempo), non può escludere che non ci siano legami tra la birra Corona e il virus. Ed ecco che le ricerche diventate trend su Google sono “Coronavirus birra Corona” e “Virus birra Corona”.

Quando l'acquisto è una questione di pancia. E di ignoranza.

Bullizzata e lasciata sugli scaffali, la birra Messicana è una vittima mediatica e questo non può che farci riflettere. Sull'utilizzo sconsiderato di internet in primis, e su quanto sia importante oggi una lotta senza quartiere alle fake news. Una guerra per la buona informazione che deve partire da tutti noi, dal cittadino, ma che deve coinvolgere anche aziende e governi, in tutto il Mondo. Inutile piangere sulla birra versata, quando ancora non si è fatto tutto ciò che si poteva per contrastare questa piaga.

Sì riprenderà il marchio Corona? Noi ci auguriamo di sì. Sicuramente questa storia ci insegna quanto il brand sia legato indissolubilmente alle emozioni. Compriamo un marchio perché ci emoziona con la sua narrazione, quando le parole che utilizza, le immagini che ci mostra, ci fanno dire: "sì, io la penso esattamente così."

Non compriamo quando suscita in noi emozioni negative, quando abbiamo la mente annebbiata da altri pensieri, quando temiamo che, versando la birra in un bicchiere, ci versiamo dentro anche un virus che ci fa tremare.

A proposito di nomi. Perché proprio "Coronavirus"?

Il nome di questo virus è stato determinato dal suo aspetto: al microscopio infatti assomiglia (se ci mettiamo un po’ di fantasia) ad una corona. Il nome è stato dunque scelto di getto, un po’ come all'epoca de l’Uragano Katrina, senza pensare alle possibili conseguenze per chi aveva quel nome, persone e aziende comprese.

Lo studio del naming è fondamentale prima di avviare un’attività e, a volte, anche quando un brand come Corona è consolidato e apparentemente innocuo, può essere vittima dell’imprevisto e, inutile negarlo, dell’ignoranza.

Non ci resta che berci sopra, in attesa che questa situazione al limite dell’assurdo finisca. Alla salute!

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